Mio compagno, petto che bramo i giorni e stringo le notti, mio difensore e mio tesoro, siedi qui accanto. E’ tanto che ti voglio raccontare una storia, strana e fantastica, che ci riguarda. Che comincia altrove, a millenni di distanza, milioni di miglia nel tempo.
Ora che mi stringi, che la tua anima m’è vicina, ascolta i vaneggi di questa tua compagna. Solo ora con te, ho trovato ristoro per lo spirito inquieto che mi alberga dentro; solo ora ricordo tutto, ogni cosa mi è chiara. Se guardi un mosaico da vicino non intuisci il disegno, devi allontanarti per cogliere il tutto.
Vedo così mio padre, nella penombra del suo studio, immerso nella lettura di libri che allora erano ben più grandi di me, bimba curiosa. Giorni e giorni in cui non vedeva la luce del sole, a volte immaginavo i suoi tomi lo avessero inglobato, fosse diventato una miniatura, un capolettera elaborato ad incorniciare un nuovo capitolo. La mia madre, dolce e instancabile, entrava in quello che era il suo mondo e tornava a rassicurarmi: stava bene, mi voleva bene, le solite cose per far stare buoni i bimbi. Io ci credevo.
Imparai così da mia madre le arti di un bravo angelo del focolare: le mattine a cucinare fianco a fianco davanti ai fornelli a legna, i lunghi pomeriggi passati accanto a lei mentre al telaio faceva scorrere la spoletta. La trama si sviluppava in colori e forme di altri mondi, con esseri e posti mai visti; e ogni disegno era una storia, ed ogni storia una stella in più che si accendeva nei miei occhi incantati. Conobbi così le storie che nessuno dei libri che potreste leggere racconterebbe, come il grande Alexander che tagliò il nodo e divenne re, Caesar che morì trafitto dalle pugnalate del suo stesso figlio, Odysseus che ingannò la maga e liberò i suoi compagni, nomi e eroi si rincorrevano nelle fiabe strane e adulte che accompagnarono la mia infanzia.
Un giorno mio padre partì in viaggio verso il Santuario del Sud per completare una ricerca particolarmente difficoltosa; era accaduto dopo una settimana difficile, nella quale si era immerso negli studi a tal punto da non raggiungerci neppure per il pranzo, che mia madre gli aveva portato più volte su un vassoio. E che tornava indietro, intonso, sotto il suo sguardo preoccupato. Prima della partenza si erano abbracciati a lungo, ed avevano pianto entrambi. E la sera, quando io e lei rimanemmo sole dinanzi al focolare, mi raccontò una storia che mai prima mi aveva narrato.
Era la storia di una giovane donna che un giorno si trovò portata via dal suo mondo. Ella era una ladra fra le più dotate nella sua categoria, che sapientemente riusciva a dosare destrezza e fascino per raggiungere i suoi obiettivi; lavorava prevalentemente su commissione, riservandosi tuttavia di accettare gli incarichi in base ad un suo metro di giudizio, per poter sempre guardarsi allo specchio la sera senza provare senso, diceva a se stessa. Un dì le venne proposto un incarico una spanna al di sopra di tutti quelli precedentemente portati a termine, sia perché difficile in sé, sia per la curiosità morbosa che le suscitava: introdursi nella biblioteca più antica e sorvegliata del mondo conosciuto, e portarne via un libro che veniva considerato alla stregua di un mito, sempre nominato con un misto di riverenza e scetticismo. Lei accettò, e intraprese quella che considerava l’incarico della sua vita, arduo e affascinante, che l’avrebbe condotta direttamente in vetta alla lista dei maestri nell’arte della sottrazione indebita.
Controlli, allarmi, nulla fu realmente un problema per lei. Raggiunse il suo scopo con determinazione e professionalità, estrasse il tomo dalla teca nella quale era conservato e lo soppesò fra le mani. Passò il dito fra le cuciture in pelle della sovraccoperta, i preziosi angoli in metallo pregiato, l’incisione a caldo sul frontespizio. E, forse a causa della natura particolare del libro, per la curiosità che sprigionava, aprì il volume e lesse alcune pagine nel centro. Una luce porpora l’avvolse, strani simboli si sprigionarono dalla carta fra le sue mani, e una vertigine mista a nausea accompagnò un carosello di immagini fuori da ogni logica. I contorni delle cose divennero più nitidi, e una stanza stracolma di libri prese forma attorno a lei, mentre uno strano cerchio cosparso di simboli assai poco rassicuranti lentamente scompariva sotto i suoi piedi. Dinanzi, un giovane dall’aspetto austero ed elegante, biondo e bellissimo sgranava gli occhi, e la sorreggeva mentre lei sveniva fra le sue braccia.
Qua si interruppe il racconto, anche perché il sonno mi aveva oramai portato via dalla veglia. Credo mia madre mi abbia portato a letto, perché il giorno dopo mi ci svegliai. Scesi dalle stanze da letto, e mi accorsi che la casa era vuota: ero la sola occupante dell’edificio. Dapprincipio non diedi molto peso al fatto, suppongo perché non era cosa nuova che io venissi lasciata sola quando qualcuno si recava al mercato. Ma a sera nessuno ancora era tornato, e mi preoccupai non poco, riuscendo a chiudere occhio solo a notte inoltrata, davanti al camino.
Il mattino seguente tornò mio padre, e inenarrabile fu la sua disperazione quando intuì che mamma era andata via. Dopo due sere chiuso nel suo studio, nel quale mi aveva tassativamente impedito di entrare, e dal quale si sentivano provenire urla di esseri non di questo mondo torturati e sofferenti, uscì fisicamente e psichicamente distrutto da lì sotto. La mattina dopo mi portò alla Sunspire e mi consegnò alle cure della sacerdotessa Matron Arena, affinché mi crescesse sino alla maggiore età; e con un bacio ed una carezza mi lasciò anche lui.
Solo qualche anno dopo potei ritornare alla mia vecchia casa, e mentre la nostalgia mi serrava il cuore in una morsa di piombo azzardai la discesa nell’antro degli studi del mio genitore.
Quello che ora riconosco come un cerchio di evocazione ancora brillava nel pavimento, tale era l’energia ancora immagazzinata al suo interno, mentre tutto attorno esplosioni di sangue imbrattavano le pareti, impronte di arti con troppe dita cercavano di aggrapparsi ai mobili e quegli occhi, per pietà gli occhi, migliaia di occhi erano in tutte le pareti, e mi fissavano, seguendo i miei movimenti.
Mi sedetti alla scrivania di mio padre e presi un libro. Poi un altro, e un altro, e prima che potessi accorgermene era passata una giornata intera. Ma la febbre che sentivo nascere in me era ben altra forza, e mi aiutava a restare sveglia: la rabbia per la sorte del nostro popolo, la vita a metà che eravamo costretti a subire, il potere di assoggettare i nostri carnefici mi fece seguire parte degli appunti del mio genitore, ed a trovare in me l’oscurità per sfruttare il potere delle ombre. Capii di più circa nostro mondo, la sua storia, la sua conformazione. Quale spazio occupiamo e cosa dobbiamo aspettarci.
Una settimana dopo, lasciata la stanza che mi osservava, mi presentai al maestro Teli’Larien come allieva Evocatrice. Cominciai il mio tirocinio come Warlock.
Amore mio, so che non apprezzi il mio richiamare le energie che un dì fecero a brandelli la nostra terra, ma io soggiogo al mio volere questi esseri, e sono appagata come da una lenta vendetta per ciò che abbiamo dovuto subire. Ma ora che i miei studi portano profitto, so cosa cercava mio padre, e so il significato del racconto di mia madre. Lei era la donna arrivata sul nostro mondo dopo la lettura del libro malvagio, e mio padre se ne era innamorato quando giunse qua durante una sua evocazione andata per il verso sbagliato. Per anni lei aveva aspettato di poter tornare a vedere la propria casa, e gli aveva anche dato una bambina – me, appunto. Ma quando fu chiaro che gli studi di mio padre non avrebbero portato a risultati utili, lei riprese in mano il libro e lesse, nella speranza di tornare nel suo mondo, e sparì. Mio padre interrogò e torturò tutti i demoni degli abissi per avere informazioni su dove fosse andata a finire, ma non ebbe risposta, e mi abbandonò per intraprendere una ricerca ancora più grande, quella del suo amore.
E questo mi fu narrato dal mio Imp, che tu conosci bene e che spesso ci accompagna. Ed io continuerò la ricerca di mio padre, per riportare a me i miei genitori, e dare pace alla mia madre.
E questo anche per dirti che il mio amore per te, Reventhon, non è una finzione dettata dal calcolo: sono pronta ad accettare la nostra relazione come lo sei tu, proprio perché non sono totalmente un’elfa del sangue. Mia madre era infatti un’umana.
Si chiamava Sandra McGowan, e la copia de “il Necronomicon” della Biblioteca Vaticana, sulla Terra, l’ha portata via con sé.

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