In un regno lontano lontano che si chiamava Regno di Sopra, dove la magia si trova dentro i vasi in cucina e le avventure da raccontare davanti al fuoco sono all’ordine del giorno, viveva un re vecchio e saggio.

Questo re aveva tre figli; e quando raggiunsero l’età giusta, e lui doveva scegliere chi sarebbe stato il suo discendente che avrebbe tenuto le redini del regno, anziché consegnare il tutto in busta chiusa al primogenito decise di metterli alla prova.

Fu così che li chiamò al suo cospetto, in una fredda mattina di settembre, e così parlò ai suoi tre figlioli.

“Figli miei, so che mi siete affezionati e che tutti e tre tenete alle sorti del nostro regno. Ma per portare avanti un regno serve molto altro a parte la buona volontà e le capacità.”

“Dicci, Padre, cosa serve? Quali sono le qualità che servono per essere un buon monarca?” chiesero in coro i tre figlioli.

“La fortuna, figli miei. Chiamata anche buona sorte, il caso, il destino, la sorte, il fato, la ventura, la coincidenza, la combinazione, l’accidente, la buona stella…”

“Si, Re Papà, abbiamo capito, continua per favore”.

“Voglio che voi tre partiate alla ricerca della vostra Fortuna, ecco. Ma la Fortuna con la lettera maiuscola, quella che fa fischiare e dire Wow! Che Fortuna! a chi vi vede passare. E vi assicuro che non è così semplice.”

“Va bene, Babbo, cosa vuoi che facciamo esattamente?” fecero i tre che oramai scarseggiavano in pazienza.

“Andate nelle stalle, sceglietevi una cavalcatura e partite all’avventura. Questa è la paghetta per i prossimi due mesi, al termine tornate da me e chi di voi tre avrà la fortuna più grande avrà le chiavi del mio regno. Orsù, andate!”

I tre fratelli si diressero come un sol uomo alle stalle per scegliere la propria cavalcatura. Il maggiore aprì per primo la porta e pronunziò con voce stentorea:

“Io, Principe Bellosguardo, scelgo questo purosangue arabo come mia cavalcatura. Egli riflette la mia nobiltà d’animo e la mia purezza d’intenti, e sarà con me in tutte le avventure nella ricerca della mia Fortuna!”

Detto questo, sellò il cavallo e salì sopra, partendo al galoppo con gran sollevamento di polveri.

Il secondogenito varcò la soglia della stalla e disse:

“Io, principe Bellicapelli, scelgo questo baio come mia cavalcatura; che la lucentezza del suo pelo eguagli la bellezza della mia capigliatura, e assieme possiamo portare la luce della bellezza in tutte le avventure nella ricerca della mia Fortuna!”

Detto questo, al piccolo trotto e con portamento maestoso lasciarono la stalla.

Fu poi il turno del più piccolo dei tre fratelli, che entrò nella stalla e cominciò a dire:

“Io, principe Fiatobello, scelgo questo… questa cavalcatura, la cui… possanza sarà di conf…”

Ma smise anche in fretta di parlare perché innanzitutto non c’era nessun altro nella stalla oltre a lui, nemmeno un inserviente, e poi anche perché l’unica cavalcatura rimasta nella stalla era una mula chiazzata grigia, che aveva due occhi dolcissimi ma pur sempre una mula rimaneva. La sellò, la accarezzò e abbracciò, e assieme uscirono dalla stalla alla ricerca della Fortuna.

 

Il principe Bellosguardo si distinse subito per il grande coraggio. Combatté malvagi e draghi, liberò città dagli oppressori, fondò una scuola d’arme, due da maniscalco e tre di schiaffi in faccia. Tutti incondizionatamente rimanevano ammaliati dal suo sguardo magnetico, uomini donne e bambini; in breve tempo un piccolo seguito gli venne dietro con tende e accampamenti, come se fosse un profeta. Divenne famoso per le sue gesta eroiche e i racconti di queste giunsero ai quattro angoli del regno.

 

Il principe Bellicapelli divenne conosciuto per il suo squisito senso estetico e per la conoscenza delle buone maniere. Ovunque andasse portava gioia, bellezza e armonia; dava consigli per l’abbellimento delle città, alle ragazze per come scegliere meglio i loro vestiti, agli uomini per come far colpo sulle fanciulle. Aprì una scuola di galateo, due centri di bellezza e tre palestre di cardiofitness; ovunque andasse veniva riverito come una celebrità, e poster con la sua effige venivano esposti al suo passaggio e conservati a mo’ di reliquie.

 

Il principe Fiatobello aveva dei seri problemi di comunicazione. Vedete, il suo nome era il programma della sua stessa esistenza: una fiatella pestilenziale emanava dalla sua bocca ogniqualvolta proferiva parola; facilmente immaginerete quanto codesto fatto possa essere deleterio nell’ottica delle relazioni interpersonali. Per farvi un esempio, quando entrava in un locale e chiedeva del cibo o da bere, due camerieri svenivano, uno veniva colto da convulsioni e il quarto restava a piangere in un angolo mentre si strappava i capelli. Veniva scacciato malamente anche dai negozi di alimentari: come proferiva parola davanti a un ortofrutta, le verdure e le drupe nelle cassette direttamente davanti a lui si avvizzivano che parevano uva sultanina anche le più turgide mele e susine.

Anche l’alloggio gli era negato, poiché quando cercava di chiedere una stanza in un ostello o una locanda  subito il proprietario usciva dall’ufficio e gridava ai camerieri che era scoppiata una fogna. Un putiferio si alzava, con persone che correvano da una parte all’altra, sino a che si accorgevano che l’odore nauseabondo proveniva da quel ragazzo dall’aspetto anche composto e educato che stava proprio lì; e lo cacciavano via, impedendogli anche di sostare nelle stalle assieme alla sua mula, per non turbare il riposo degli equini.

Viveva così al limitare del bosco, cibandosi di bacche, erbe amare e radici, cose che notoriamente non aiutano il miglioramento dell’alito. Sospirava per la mestizia, e ad ogni sospiro un uccellino cadeva dai rami con uno schiocco, o uno scoiattolo gli tirava noccioline in testa pur di farlo allontanare. Insomma, anche la natura gli era contro.

Fu così che si sdraiò una sera in una cavità nella roccia, dopo aver legato la sua mula ad un alberello lì vicino, e accese un fuocherello con due legnetti; due uccellini svenuti e un coniglio debole di cuore furono fissati su due legnetti e si avviavano a diventare la sua cena, quando una vecchina si avvicinò al suo focolare improvvisato, e disse:

“Bel giovane, ti auguro buona serata. Avresti qualcosa da condividere con una povera vecchina che si aggira per la foresta?”

“Vecchina, ma non sei un po’ fuori mano? Qui intorno non c’è anima viva, a parte me, e la città vicina è almeno a quattro ore di cammino. Il mio frugale pasto è tuttavia il tuo; siediti con me e prendi ciò che vuoi.”

“Ti ringrazio per la tua generosità!” disse lei, “E per ringraziarti di questo voglio ricambiarti con un dono.”

Mosse le mani nell’aria, e un sonno profondo si impadronì di Fiatobello: stava per dire qualcosa, quando la testa gli cadde su una spalla e lì s’addormentò.

 

Quando si svegliò, era in una casuccia di pietra, con il tetto in paglia e le travi a vista, centinaia di amuleti, ninnoli, pendagli, collane, bottiglie e ammennicoli di tutti i generi e tutte le fogge appesi al soffitto. Subito chiese:

“Dove mi trovo adesso?”

E non appena disse questo, il suo fiato brunì il metallo, fece seccare i frutti, spezzò i fili e avvizzì le erbe officinali.

“Fermo, fermo! Sei nel laboratorio della strega, che poi sarei io” disse la vecchina nel frattempo intenta a rimestare un calderone posto sopra il fuoco. “Ti starei preparando una pozione, ma ahimè mi sono accorta or ora che mi manca uno degli ingredienti più comuni, l’alito di rospo! Credo proprio che dovrò uscire per procurarmene un pochino.”

“Ma per questo ci penso io!” Disse Fiatobello. Si avvicinò al calderone, prese un bel respiro e alitò una zaffata di fiato dentro il calderone ribollente; si vide un lampo, si udì un BUM! e una nuvola di fumo dall’aria minacciosa si alzò dal pentolone. Il ribollire cessò, e dal centro del liquido emerse un oggetto cilindrico, assottigliato ad una estremità, e con una strozzatura troncoconica dall’altra.

La strega lo prese con un mestolo, lo scolò dalla poltiglia ancora presente sino a far comparire una scritta sopra:

DURBANS

“E’ il mio cognome” disse la strega “Alcina Durbans. Tieni questa spazzoletta, prova a strofinarti i denti con questa pasta magica!”

Fiatobello un po’ perplesso spremette il tubetto sulla spazzoletta, e cominciò a strofinarsi la dentatura. Subito un profumo di menta si sparse per la sua bocca e per la stanza, unita a una sensazione di freschezza come non mai aveva provato. I polmoni gli si riempirono di gioia, e un bagliore di riflesso fuoriusciva dalla sua bocca.

“Ma è fantastico! Grazie, strega, sei stata un tesoro! Vieni qua!”

Le cinse con un braccio la vita, la avvicinò a se e le diede un bacio di gratitudine. Un vortice di lucine la avvolse, un turbine scosse la stanza e la vecchina Alcina si trasformò in una splendida ragazza dagli occhi verdi e i capelli corvini. Fiatobello se ne innamorò perdutamente, e il secondo bacio non fu solo di gratitudine.

 

Passarono i giorni e le settimane, e Fiatobello con Alcina vivevano felici nella casa in mezzo alla foresta. Tutto sembrava essere perfetto, sino a che lui non si ricordò che doveva tornare dal suo Re Papà per mostrare la sua fortuna; lui aveva trovato l’amore, e non è certo una cosa da poco, ma il termine per essere dinanzi al sovrano era la sera stessa. Non avrebbe avuto nulla del regno, nemmeno un sassolino, nemmeno una manciatina di sabbia. Si sedette triste sulla scala della casa fissando un punto in mezzo alla foresta. Un fauno si sentì osservato e se ne andò stizzito, imprecando qualcosa in faunesco.

“Cos’hai, mio amato?” disse la strega.

“Stasera sarei dovuto essere dinanzi al mio padre per mostrargli la mia fortuna, ma me ne sono dimenticato. Mio padre sarà molto triste di non vedermi, di sicuro morirà di crepacuore.”

“Potevi dirmelo subito! Non ti crucciare: conosco un modo per farci arrivare al regno di tuo padre prima che cali il sole. Abbi fiducia in me!”

Detto questo si avvicinò alla mula, che pacifica ingrassava nel giardino, e pronunciò alcune parole magiche: subito quella si tramutò in un bianco destriero alato dalla chioma d’oro, che scalpitando li attendeva per partire.

“Andiamo Fiatobello, forza! Partiamo subito!” E salirono entrambi in groppa al pegaso, che partì in viaggio con uno schiocco d’ali. Non si vedeva più la terra sotto di loro: tutto scorreva velocemente tanto da non distinguere i particolari delle cose, un uomo da una donna, un cane da un gatto, un gatto da un ratto. Volavano sopra il terreno a velocità incredibile.

 

Bellosguardo arrivò per primo al castello, e due suoi seguaci lo aiutarono a portare un pesante forziere su per la scalinata e davanti al trono. Lo aprì e monete d’oro traboccarono sin sul pavimento, da quanto era pieno; si mise in posa statuaria a fianco, e disse con voce possente:

“Io, Principe Bellosguardo, sono tornato oggi al tuo cospetto, padre mio, e ti porto la mia Fortuna!”

Detto questo, con un calcio rovesciò per terra il forziere e le monete rotolarono sin sotto il trono.

 

Bellicapelli entrò per secondo nella sala del trono, con un possente uomo poco vestito e dalla pelle oliata che teneva un forziere non meno grande di quello del fratello. Lo aprì e pietre preziose fecero capolino: smeraldi, rubini grossi come pugni, lapislazzuli, topazi e diamanti, il tutto in quantità esorbitanti. Con un elegante inchino rese omaggio al sovrano, e disse:

“Re Papà, io Principe Bellicapelli sono tornato al tuo cospetto per mostrarti la mia fortuna!”

Detto questo, prese una manciata di pietre e la offrì al Re che osservava compiaciuto.

 

Il compiacimento comunque tradiva una vena di preoccupazione: non vedeva infatti il suo figlio più piccolo da nessuna parte, e le guardie al portone ancora non lo avevano annunciato. Cosa gli era successo?

Immerso in questi pensieri, non s’avvide di un’ombra che si ingrandiva dalla finestra al sud. Divenne sempre più grande, sinché non fece buio nella sala; e tanto grande divenne che atterrò nella sala del trono un pegaso con fidanzata e principe inclusi.

 

Fiatobello si avvicinò al trono, mano nella mano con Alcina, e sorrise. Subito tutti si accorsero che qualcosa non era normale: un lieve bagliore scaturiva dalla bocca del principe, tanto era il candore della sua dentatura. Ma ancora di più fu lo stupore quando cominciò a parlare: non più miasmi nauseabondi dalla sua bocca, ma un profumo di menta e di erbe officinali si sparse per la stanza.

“Ciao Papà, sono tornato al tuo cospetto per mostrarti la mia Fortuna. Vorrei che tu benedicessi le mie nozze con questa ragazza, di cui sono innamorato!”

Il Re Papà stava per dire qualcosa, quando i due fratelli scoppiarono in una risata fragorosa.

“Fortuna? Porti una ragazza e la chiami Fortuna? Ahah! Noi due abbiamo portato fortuna vera. Oro! Pietre preziose! Combattenti forzuti! E tu? Una ragazza? Che razza di fortuna! Vestita di rozze vesti, anzi di stracci, sicuramente di umili natali, e vorresti anche la benedizione del Sovrano? Tu! Ragazzina! Con che faccia ti mostri qui davanti a noi?”

Fiatobello fu scosso da questa dimostrazione di superiorità e arroganza dei suoi consanguinei. Ebbe paura che la sua amata si impaurisse e scoppiasse a piangere; si voltò da lei per proteggerla, ma trovò dinanzi a sé un volto sereno e sicuro di sé. Alcina rispose ai fratelli di lui con voce ferma e forte:

“Io sono Alcina Durbans, figlia di Panoplio del Regno di Sotto, Principessa dei cinque mari e mezzo, reggente dei sette soli e legittima erede al trono di tre quarti del continente. Fiatobello con un bacio mi ha liberata di un malvagio incantesimo che mi teneva intrappolata nel corpo di una vecchia strega che mi aveva rubato la gioventù, dalla quale ho tuttavia carpito le arti magiche. E se non la smettete con quello sguardo odioso la settimana prossima nuoterete nel fossato gracidando sino a che non imparerete le buone maniere. Cumprìs? Capìt? Entiende?”

“Sissignora signora principessa!” Fecero in coro gli altri due.

“Figlio mio! La tua non è solo Fortuna, è proprio una gran botta di Buona Sorte! Benedico la tua unione con Alcina, che il vostro regno sia lungo, duraturo e prospero!” disse il Sovrano, e li abbracciò forte entrambi.

 

Le nozze fra i due si celebrarono la settimana dopo; e con l’unione del Regno di Sopra e di quello di Sotto nel grande e prospero Regno Totale, un lungo periodo di pace iniziò sul continente. E vissero tutti felici e contenti.

Immagine: the lonely knight by jjcanvas, https://www.deviantart.com/jjcanvas/art/The-Lonely-Knight-255865800
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