Il CavalPanettiere

In un paese lontano lontano, là dove l’acqua è più blu, l’erba è più verde e la cucina ha un sapore incredibilmente buono, viveva un panettiere bravissimo.

Egli si chiamava Pino Panino.

I suoi pani non erano semplici pagnotte, bensì opere d’arte. Impastava draghi, dame e cavalieri, castelli, orchi e destrieri, tutto con una tale maestria che parevano veri, anche se fatti di pane.

Egli era segretamente innamorato della principessa del castello, la bella Mirandolina: ogni giorno che spuntava in cielo le mandava dei pani fantastici, ma senza mai dire chi fosse a farli. Una volta la riproduzione del castello in crosta dorata, un’altra volta un drappello di cavalli al galoppo al pomodoro, l’ultima volta un cavaliere possente con le patate.

Sì, erano anche buonissimi, e la principessa se li mangiava con gusto tutti i dì, ignorando chi glie li mandasse ma innamorandosi ogni giorno di più del suo sconosciuto panificatore. Per questo aveva detto al suo papà Re che mai e poi mai avrebbe sposato un principe o un cavaliere, e che l’unico amore della sua vita sarebbe stato il panificatore misterioso.

Il papà Re, quando capì che con le buone maniere non sarebbe riuscito a smuovere la sua figliola nell’intenzione di trovar marito, indisse un concorso a premi per cavalieri: Televisori! Motociclette! Come primo premio la mano della principessa Mirandolina! L’ultimo classificato sarebbe stato dato in pasto ai coccodrilli! Insomma, un concorso davvero niente male.

Manifesti vennero affissi a tutti i cantoni del regno, tutta la popolazione ne parlava. Anche Pino ne venne a conoscenza, e si preoccupò tantissimo. Un concorso! Con la mano della principessa in palio! E anche televisori! Lui non era un cavaliere, come avrebbe fatto? Mirandolina sarebbe andata in sposa a qualcuno che non l’amava. E questo certo lui non avrebbe potuto permetterlo.

Avrebbe quindi dovuto anche lui partecipare al concorso. Ma non era un cavaliere, e i soldi per un’armatura non li aveva. Ma aveva dalla sua la bravura come panettiere: avrebbe fatto tutto con il pane. Si costruì un forno gigantesco, impastò il suo pane migliore e più tenace e panificò armatura, elmo, scudo, spada e anche un cavallo in panbiscotto a dimensione naturale.

Grazie alla sua bravura e perizia, il pane era duro come l’acciaio, elastico come la gomma e leggero come, appunto, il pane. Aveva un’armatura invidiabile, uno scudo resistente e una spada affilatissima, che poteva tagliare una pagnotta in volo soltanto sfiorandola.

Ma il cavallo era fatto di pane. Nulla riuscì a farlo smuovere, né le preghiere, né le suppliche, né la magia alla quale Pino cercò di far riferimento; pagò infatti un famoso mago che gli riempì la panetteria di suffumigi acri, lanciò erbette puzzolenti ovunque e fece sparire due forchette d’argento, ma il cavallo rimaneva sempre e solo di pane.

Pino era disperato: senza il cavallo non sarebbe mai riuscito a diventare cavaliere abbastanza da poter sperare di conquistare la mano di Mirandolina. Rimase così triste a fumare un grissino sulla soglia della sua panetteria, piangendo calde lagrime che si mescolavano alla farina sulle sue guance lasciando solchi bianchi e pagnotte tristi.

Caso volle passasse di lì un famoso allevatore di cavalli che aveva fame. Entrò nella bottega di Pino, suonò il campanello e notò il cavallo di pane lì vicino. Come Pino entrò, si dichiarò innamorato della statua e gli chiese quanto volesse come pagamento.

Lui rifiutò gentilmente, dicendo che glie l’avrebbe regalato senza problemi perché era una testimonianza del suo amore perduto. Ma quello si impuntò, rapito dalla bellezza della statua, spiegandogli che un’opera d’arte come quella non sarebbe potuta restare senza un adeguato compenso. E gli donò uno dei suoi cavalli, che casualmente portava sempre con sé nel suo portacavalli da viaggio.

Gioia! Tripudio! Pino era adesso caval munito, poteva essere cavaliere a tutti gli effetti! Si impastò al volo una sella e una coppia di staffe e redini, sellò il cavallo che battezzò Tramezzino e galoppò alla volta del castello, dato che le iscrizioni al concorso scadevano quella mattina stessa.

Arrivò al banco delle iscrizioni appena in tempo. L’addetto lo guardò male, scrutando l’elaborata armatura glutinosa, scherzando sulla resistenza delle attrezzature e sul fatto di aver appena trovato chi sarebbe stato la cena dei coccodrilli del fossato; Pino scrollò le spalle e seppur con l’animo pensieroso si diresse verso il campo del torneo.

Tanti cavalieri erano già schierati pronti a prestare giuramento al Re. C’erano il cavaliere Giallo, il cavaliere Nero, il cavaliere Blu e il cavaliere Rosso; erano presenti anche il cavaliere a Strisce, il cavaliere a Pois rossi, il cavaliere Picchettato e il cavaliere Pied-de-poule.

Subito suonò l’inizio del torneo. I primi a scontrarsi furono il cavaliere Giallo contro il cavaliere Blu; galopparono velocissimi uno verso l’altro, sbatterono violentemente e divennero il cavaliere Verde. Il cavaliere Nero si scontrò con il cavaliere a Pois e divenne il cavaliere Nero a Bolli; e così via per tutto il tabellone.

Il primo combattimento di Pino fu contro il cavaliere Rosso. Quello partì alla carica sollevando la terra dagli zoccoli del suo cavallo; Tramezzino partì un po’ impaurito, ma confortato da Pino, piano piano prese confidenza e si lanciò al galoppo anche lui. Il cavaliere Rosso sguainò la spada e la fece vorticare sopra la sua testa; Pino sguainò la sua panspada e da un fendente scaturì una tempesta di rosette che travolse l’avversario, lasciandolo stramazzato a terra che masticava panini a più non posso.

Il successivo avversario fu il cavaliere verde a strisce, vincitore di un precedente scontro. Pino con uno sfilatino enorme lo sbalzò dalla sella e lo lasciò terrorizzato sull’erba. Si capì subito che i coccodrilli del fossato avrebbero mangiato soltanto minestrina.

Arrivò così l’ultimo scontro: Pino contro il cavaliere Nero a Bolli Marroni Picchettato Pied-de-poule, nemesi finale generato da plurimi scontri.

C’era un problema: dopo gli scontri, la pur resistente armatura di Pino si stava consumando, sia perché il pane seccandosi perdeva elasticità, sia perché Tramezzino aveva fame e se la sgranocchiava durante le pause fra un combattimento e l’altro.

Pino doveva comunque dare il tutto e per tutto per conquistare Mirandolina, che svogliata assisteva dalla tribuna ignara che il suo panettiere misterioso fosse lì sotto a combattere.

Il suo avversario partì come una furia roteando la palla chiodata come un’elica e gridando come un pazzo! Pino era spaventato perché la sua armatura si stava man mano sgretolando. Ma una folata di vento smontò armatura, spada scudo e sella, e lanciò verso l’altro cavaliere una tempesta di pangrattato che lo soffocò e impanò, lasciandolo pronto per una gustosa frittura.

Pino era vincente! Mirandolina sarebbe stata la sua sposa! Ma adesso non era più un cavaliere. Come fare? Era senza armatura, senza spada, scudo, non poteva vincere secondo il regolamento; gli avrebbero al massimo dato un televisore. Ma a un certo punto vide che Tramezzino stava annusando in una delle tasche della sella e si ricordò di una cosa che si era portato appresso: la aprì e tirò fuori una statua di pane a forma di cavaliere, che issò sopra la testa nello sfolgorare del sole pomeridiano.

Mirandolina capì subito che quel cavaliere panificato era fatto dalla stessa mano che le regalava ogni giorno i pani più buoni, e che la mano era quella che lo sorreggeva.

Corse giù dalla tribuna e si buttò al collo di Pino, felice di aver trovato il suo amore panettiere. Il Re non poté obiettare nulla perché il concorso era stato vinto correttamente, e i televisori e le motociclette andarono ai secondi e ai terzi; e vissero felici e contenti e infarinati a lungo.

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