Umberto Eco ha passato gli ultimi trenta anni ad affannarsi per perdere i lettori che aveva conquistato con “Il Nome della Rosa”. Che è una cosa difficilissima: ogni volta che lo passano in televisione, devono ristamparlo perchè qualcuno non l’aveva ancora letto, e poi, si sa che Connery è un gran bel tomo. (ahahah, avete colto la sottile irona? libri, tomo, ahahah. la smetto).

Ultimo in questa china discendente, sta il libro che da il titolo a questo post.

E’ senza dubbio un bel mettere insieme di fatti, leggende, notizie e stralci bibliografici che soltanto un esperto come Eco poteva fare. Il paradigma dell’antisemitismo che peregrina per l’Europa, fa danni, sparge merda, fa altri danni, scrive i fottuti protocolli degli anziani di Sion. Il tutto concentrato in una persona unica, compatibile, schizofrenica, misogina.

Non è un giallo, non è uno storico, non è un feuilletton: è un’amalgama di fatti, ricette d’antan, ricerche storiche e autori assurdi di libri d’apendice dimenticati, legati flebilmente fra loro dall’unico di tutto il libro che non sia mai esistito realmente, e che per facilitarsi la vita diventa schizofrenico così da aver la scusa di rappresentare una decina di personalità diverse – una sola era davvero troppo, neanche un maestro della truffa, dài.

Il libro mi ha suscitato alcuni piccoli smottamenti, idee, effetti.

Il primo effetto è stato quello di volermi riprendere i libri di storia per rileggermi il risorgimento.

Il secondo, quello di voler cucinare tutto quello che viene minuziosamente descritto nel libro.

Il terzo, beh… Simonino, sei un coglione.

La lettura va in accelerando, come se all’inizio avesse inserito troppi sotterfugi, nozioni e idee per essere contenute in cento pagine; e dopo, consumata la miccia lenta dell’idea, avesse dato fuoco alle polveri della narrazione di più ampio respiro. Il risultato è che lo si finisce in tre giorni, scarsi, nonostante le seicento pagine complessive.

O forse sono io che invecchio.

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