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Nicola chiude il giornale e si guarda attorno, il cinno controlla che le mosche non si appoggino sulle torte, una discussione politica sta nascendo sul fondo della sala. Tira una moneta al ragazzo e fa per alzarsi, il suo socio è sparito in gita da un quarto d’ora e ancora non si vede; il mattino sopravanza, e ogni scusa è buona per battere la fiacca, se non ci si decide. Il cinno s’accorge solo adesso che forse se ne sta andando, giovane sveglio.
“Sor Peretti lo paga lei?”
“Metti nel conto, passa dopo, io devo andare!”
“Ma padron Arturo m’ha detto di non lasciare…”
“Ma io non sono Ferruccio e tu non preoccuparti che lui è con Arturo, stabene? Ciao a tutti, ci vediamo” e a questo ultimo saluto del becchino, molti lo prendono come un augurio di incontrarsi presto per faccende lavorative, e si strofinano.
Nicola riattraversa la strada, riapre la porta, guarda la lavagna: qualche buontempone di passaggio ha disegnato a fianco al suo slogan pubblicitario un membro maschile stilizzato ma ben riconoscibile. Sbuffando, cancella tutto e porta dentro, per oggi fine degli esperimenti di marketing. Questo paese non è ancora pronto per tali innovazioni.
La sua scrivania è consunta e piena di scartoffie, cataloghi, fogli stracolmi di appunti, mozziconi di sigarette e matite morsicate. Ha un’aria pensosa, nella luce pigra che comincia a salire. Qualcuno bussa piano alla porta, scuotendolo dalla meditazione: è una piccola signora, bianca e raggrinzita, che si affaccia come un piccolo roditore dalla porta.
“Avanti, signora Graziali”
“Ciao ragazzo mio, come stai?”
“Si va avanti meglio che si può. In cosa posso esserle d’aiuto?”
“Volevo portare qualcosa di fresco al mio Antonio, posso?”
“Oggi ho delle belle fresie, guardi qua” mentre la accompagna al vaso con i fiorellini colorati. Il suo sguardo è catturato però dalla figurina che a grandi balzi arriva dalla via, macchiolina azzurra e celeste che balzella.
“Che belli, gli piaceranno?” chiede la vecchia, cercando di fare un po’ di conversazione. Ma Nicola è ormai distratto.
“Gli piacerà tutto, vedrà. Sono tre e cinquanta, lasci pure sopra la scrivania dentro”.
In realtà Antonio detesta non solo le fresie ma i fiori in generale, preferirebbe una piantina grassa a cui parlare, come faceva con le mammillarie quand’era ancora vivo, ma la moglie non coglie e va bene così.
Nicola si alza dalla posizione piegata com’era per avvicinarsi alla cliente, allarga le braccia e va incontro al bimbo che sta sopraggiungendo, che ricambia con un sorriso enorme ed una corsa scomposta, per poi saltargli in braccio.
“Ciao papà! Mi sei mancato!”
“Ciao ciunfolletto! Finalmente ti rivedo!”
“Ma è solo poco tempo!”
“Si, ma quando sono uscito dormivi, e quindi non vale.”
Il bimbo risponde con una linguaccia, per poi strizzare il babbo con le braccine. Poi si allontana come per staccarsi e fissarlo per bene: Nicola alza un sopracciglio con sguardo finto perplesso, e gli chiede “Cosa c’è? Mi è cresciuto un fungo sulla testa, forse?”
“Noppapà! Ma quella signora se ne va con i fiori!”
“Si, glie l’ho detto io, tutto a posto”
“No, non quella di prima, l’altra!”
Si gira e non c’è nessuno, solo la Graziali che si allontana pian piano su per la via, e il piccolo comincia a ridere di gusto per lo scherzo appena fatto al padre.
“Monello! Dovrò mangiarti! Aaaahhmmm!!!”
“No che devo andare a scuola, non mangiarmi tutto!” e giù risate.
“Bambini, basta giocare, su! E’ ora di fare le persone serie!” è la voce di una donna che s’avvicina. E’ Giada, la moglie di Nicola nonché mamma del piccolo, Mattia.
“Sì mamma!” rispondono in coro i due in mezzo alla via, e si sganciano per riprendere le posizioni canoniche. Sembrano uno la copia in miniatura dell’altro.
“Ciao amore, buon lavoro” fa lui, sperando in una partenza veloce della coniuge.
“Senti piuttosto, ci sarebbero alcune cosucce da sistemare stamattina” inizia lei, e gli occhi rivolti al cielo di Nicola fanno presagire una preparazione interiore ancora non perfetta al momento, “innanzitutto bisogna che tu vada assolutamente a farti restituire il tagliasiepi da Loira, che non so come ancora non ha sistemato la recinzione ma non me ne frega nulla. Secondo, hanno chiamato quelli della banca, vai a dirglielo che tanto la casa è di babbo e se vogliono qualcosa devono aspettare. E terzo, mi manchi già, quando torniiii?”
“Presto, amore mio, torno presto…”
“E guai a te se sento qualche racconto strano sulla visita a Loira, sai che prima strappo gli occhi a lei e poi ti infilzo col forcone di nonno. A proposito, ma quand’è che facciamo la raccolta del fieno? Sai, quest’anno il campo è bello grasso, e secondo me il vecchio Giuselli ce la prende tutta che ha due vacche in più. Organizzi?”
“Certo, adesso chiamo il Fabbri per il trattore col rimorchio…”
“E che sia, non ho voglia di togliermi paglia dai vestiti per tre giorni e senza aver combinato nulla! Ed a proposito di paglia..:”
E qua mi allontano anche io, e vedo dagli occhi di Nicola che anche lui è già lontano anni dal suo corpo, in altre dimensioni. Sono stato marito anche io, ho amato mia moglie, e adesso ne faccio volentieri a meno, grazie, anche di quelle degli altri. Guardiamo il muro…vecchi mattoni… erbetta nelle crepe… e Giada ancora parla, lui deve avere le orecchie che piangono. Ancora un po’, bacini, saluti, e la famiglia si divide. Mentre i due si allontanano e spariscono dietro un cantone, lo sguardo di Nicola tradisce una qualche preoccupazione, di certo monetaria, viste le poche entrate degli ultimi tempi e l’avviso della moglie. Si stringe nelle spalle, accende una sigaretta, nota una grossa blatta che attraversa la strada frettolosamente, puntando verso di lui. Alza il piede, e quando arriva in zona, lo abbassa a martello, cràc, piccola vendetta contro il mondo.
Lo solleva per vedere quel che resta. E, quel che resta, lo guarda, bestemmia in blattesco e arrancando si rimette in movimento, via via più velocemente, fino ad infilarsi nello scolo dell’acqua a fianco, sotto lo sguardo esterrefatto dell’altro.
Eppure gli era parso di averci messo il tanto di forza normale.
E’ passata un’ora abbondante quando il fuoristrada di Arturo si fa sentire dalla distanza, con il crepitio delle giunture metalliche imploranti uno sfasciacarrozze, purché sia russo e rosso. Punta alla piazzetta senza decelerare. E lo spostamento d’aria fa tremolare i fiori, prima di innescare lo stridio dei freni e staccare qualche sanpietrino dal selciato con una poderosa frenata. Dall’abitacolo scendono solo Arturo e Ferruccio, con sguardo e capelli sconvolti.
I due si stringono la mano e si abbracciano, uno torna al bar e l’altro si dirige per la porta dell’agenzia. Mentre si pulisce i piedi ancora tempestati di foglie e fango, gli sguardi dei due soci s’incrociano.
“E il panino?”
“Niente panino. Almeno non adesso. E’ tutto un casino.”
“Quindi non è morto nessuno, immagino?”
“Diverso. Non è riuscito a morire. Sono felice, e preoccupato.”
“Non capisco nulla, vuoi smetterla di parlare per sciarade?”
“Gualtiero s’è impiccato.”
“E siete arrivati giusto in tempo.”
“Si. Bè, cioè, no. Siamo arrivati dopo. Tre giorni dopo. Quel rottinculo è rimasto appeso per il collo ad un albero per tre giorni.”
Nicola fischia.
“La moglie se n’è andata con la figlia, e fin qui ok. Lui è uscito di testa, ha smontato casa e s’è appeso ad un albero nel bosco sul retro.”
“E adesso è vivo.”
“Sì.” Mentre si ravvia i capelli, e toglie la giacca.
“E l’avete lasciato solo per riprovarci?”
“Si, cioè no, l’abbiamo lasciato con Giuliano a casa. E’ debole, un po’ disidratato, ma vivo… e gli è passata anche la voglia di farsi fuori, anche se dati i farfugliamenti di idee e illuminazioni credo che la mancanza di ossigeno gli abbia fatto partire qualcosa.”
“Ma era appeso bene? Magari aveva stretto poco…”
“L’ho visto, era blu e con la lingua fuori, ti ricordi Leonardi sei anni fa? Quella faccia. Credevo di doverlo mettere sotto stasera stesso. E invece s’è messo a tossire come ha toccato terra, a momenti mi veniva un infarto”.
“Ti ho visto un po’ bianco, in effetti.”
Ferruccio nel mentre s’è levato la giacca, appesa al portabiti sul quale campeggiano una mezza dozzina di ombrelli di vari clienti ed è crollato sulla seggiola davanti alla scrivania. Il lezzo di fiori recisi riempie l’aria, anche se i due hanno il naso felpato a quest’odore.
“Son contento per Gua, intendiamoci.”
“E ci mancherebbe. Abbiamo inscatolato anche tanti nostri amici, ma non ci fai mai l’abitudine”.
“Vedrai che alla fine qualcuno muore. Non può andare avanti così per molto, sai, anche altre volte… prima o poi qualcosa torna normale”.
“Io credo che stavolta sia diverso.”
Ferruccio alza un sopracciglio, si infila in bocca un fil di ferro rivestito verde e comincia a rosicchiarlo, con un’espressione sorpresa ma non del tutto. “E dimmi, da cosa ti viene quest’impressione…?”
“Tante cose. Piccole, grandi, visibili e nascoste. E assurde.”
“Senti, già sono nervoso di mio. Vuoi che ti schiarisca le idee con un vaso?” dice acchiappando un solido vaso in cristallo poco distante, fioriera per defunti a venire.
Nicola si gira, fa scorrere il dito sull’interruttore della radio e la musica si sprigiona dalle piccole casse dello stereo. Alza lievemente il volume, Alan Parson Project nell’aria.
“Dicevamo, c’è qualcosa che non mi torna. Non è un caso, è qualcosa di più, e non è solo degli gli uomini.”
Psychobabble, oh psychobabble.
“E…?”
“Ho schiacciato una blatta. Quella s’è rialzata, m’ha sfanculato ed è andata via. Se la aggiungo alle zanzare che si ubriacano con il vape e mi mitragliano ogni notte, ai topi che banchettano con le trappole ed il veleno nella mia cantina, Magnani che scende in diretta cercando funghi e si sveglia a casa, quei due ciclisti stirati sulla panoramica e tornati giù a piedi il giorno dopo che riconoscono il SUV del coglionazzo…”
“…erano con due litri di sangue in meno a testa, e si tenevano una gamba con un cavo del freno…”
“Esatto! Vedi? Gente normale sarebbe morta, molto morta. E’ questo che mi fa andare in bestia! Per non parlare dei vecchietti che bivaccano agli angoli delle strade. Mai vista tanta salute. Il pullman per l’ospedale di Vergato è occupato solo dai pendolari. Roccafratta scoppia di salute.”
“E dimmi, investigatore del mistero, cosa sarebbe questo ‘quid’ che tiene tutti in vita? Un fluido? Un animale? L’aria?”
“E che ne so? Io ho l’idea”.
“Così ci riesco anche io. Mi invento che conosco il metodo per vincere al casinò, espongo casi slegati e non verificabili e mi vanto di avere le chiavi del mistero, e non ho una mazza”. A quest’ultima parola il fil di ferro, torto e ritorto, si spezza. Ferruccio lo osserva, appallottola e lancia nel cestino, nuovo fil di ferro, chomp.
“Si, ma ho deciso di fare una verifica. E tu sei con me, altrimenti qua si chiude bottega in quattro e quattr’otto. Ci stai?”
“E verifichi cosa? O hai costruito il laboratorio del dottor Von Frankenstain in cantina, ma li dentro ci tieni solo la pancetta a stagionare…”
Nicola fa no, no, no con la testa.
“…oppure hai intenzione di far fuori qualcuno per vedere se muore davvero, e in tal caso te ne vai affanculo”.
Nicola sorride con sguardo ebete e annuisce.
“Ti stai rincoglionendo, socio. Checcazzo ti salta in mente?” sbotta Ferruccio, sollevandosi e andando verso l’attaccapanni a prendersi la giacca. “Non ti appoggerò mai, e se non mi giuri che non farai mai, e ripeto MAI nulla, sto entrando quantevveroiddio dal commissario a raccontargli due cose.”
“fermofermofermoaspetta. Non ti ho detto che è qualcos’altro? Tutto andrà come al solito di questi ultimi mesi. Nessuno si farà male. Oddìo, magari male, ma non morirà. Ma mi stai ascoltando?”
Ferruccio gli punta un dito addosso. “Stai zitto! Ti ho ascoltato, tanto, ora ascolta me. Io rispetto la vita. Fai lo stesso anche tu. Prenditi due aspirine, mezza bottiglia di coca e vai a pensarci sopra sul cesso. Dormici. Fai un po’ il cazzo che ti pare! Ma non venirmi più con queste storie. Intesi?”
Si infila la giacca, gira le spalle e passa la porta.
Nascosto dietro il montante, un gattone giallo col collare verde sta facendo la posta al tombino a fianco. E’ assolutamente concentrato che non sente niente e nessuno, ma anche Ferruccio è abbastanza per le sue e non lo vede, gli pesta la coda con tutta la potenza del suo tacco, e generando un urlo felino acuto e lancinante il micione scatta attraverso la strada, e viene attraversato da un’auto a bassa velocità, il cui conducente impreparato all’evento inchioda subito dopo il tonfo.
Ferruccio rimane lì, col piede a mezz’asta, inorridito dal piccolo corpo arrotolato sotto il pneumatico lì davanti, sangue polvere e pelo vulcanizzati. Si scuote poco dopo, e corre verso il punto dell’incidente.
“Non l’ho visto, mi spiace, non l’ho proprio visto, chiedo perdono… io ho cinque gatti, ci faccio sempre attenzione…mi spiace…” fa il conducente dell’auto, ora sceso e preoccupato per l’evento.
“E’ colpa mia” dice Ferruccio, “sono stato io a spaventarlo, è per causa mia che è finito sotto. Sono addolorato. Lasci, ora lo raccolgo. Grazie.”
Ferruccio srotola il giornale che ha all’interno della giacca, lo stende a fianco al cadaverino e ve lo trasferisce sopra. Saluta il guidatore, fa un passo indietro e osserva il corpicino martoriato, scosso dagli ultimi attimi di vita che lo abbandona.
Solo che, gli ultimi attimi durano minuti, mentre pian piano coccola l’animaletto tremante. Si gira verso il socio, e “Lo porto dal veterinario qua sotto” gli dice, mentre si avvia per le scalette del vicolo a fianco, tenendo come un piccolo fragile cristallo il micio.
Quindici minuti dopo è di nuovo in negozio. Spalanca la porta che sbatte sulla seggiola dietro, squadra l’altro con occhi sempre più perplessi, e fa per aprire la bocca quando lo precede Nicola.
“E’ ancora vivo”.
“Si, cazzo. Zacca m’ha detto che è resistente, ma che nessuno riusciva a camminare con quei danni. Prima di adesso”.
“Ohoh, quindi è ancora in piedi?”
Maoo. Il gatto sbuca da dietro lo stipite, saluta dentro e si rimette a controllare lì dove aveva interrotto prima. Si apre la porta a fianco, s’affaccia una donna che chiama Pallino, che si gira e miagola di nuovo. Nulla è cambiato.
Ferruccio guarda il gatto, guarda il socio, guarda di nuovo il gatto e un brivido visibilmente gli passa dalla testa ai piedi.
“E non è il solo, mi ha detto Zacca che ultimamente ha una sequenza di casi positivi buonissima. Ultimi dodici mesi, neanche un’iniezione letale”.
“Proprio quello che ogni mese va a meno due e ci tiene alla media?”
“Ci ho scommesso anche qualche anno fa, ed ho perso malamente. E’ finito a meno sette”.
“Ma non stavi andando al commissariato? Che ci fai ancora qua a rubare aria buona?”
“Ma non mi stavi spiegando una cosa? Alza un po’ il volume che questa canzone mi piace, e fa il tanto di chiasso giusto”.
Passano i Police. If I had wings I’d leave the ground. Nicola alza un po’ il volume.
“Dietro casa mia, ti dicevo, stanno rifacendo il campanile, e ci sono i ponteggi montati da qualche giorno…”
(continua 4a parte)
(continua 4a parte)
E 'vero! Penso che questo sia una buona idea. Pienamente d'accordo con lei.
Condivido pienamente il suo punto di vista. In questo nulla in vi e credo che questa sia un'ottima idea.
Ma chi è questo deficiente? 😀
Il semble que vous soyez un expert dans ce domaine, vos remarques sont tres interessantes, merci.
– Daniel
Il semble que vous soyez un imbécille, et celui-ci est spam.