E’ in momenti come questo che sento l’appartenenza. Appartenenza a qualcosa che esula da nazioni, ideologie, religioni o razze; quella scintilla nel focolare, dal colore che riconosciamo nostro, la cui vista scalda il cuore.
Si allarga, e man mano che ci si allontana aumenta di importanza, di significati, si arricchisce in concetti e in parti di cuore che ci lasciamo strappare, che lasciamo da riprendere per quando ritorneremo, sperando di tornare così, segreta promessa di fedeltà ad un luogo, ad un ricordo di esso, cristallizzato in un momento.
Così come quando ci si distacca da casa, e ogni particolare viene alla mente subito dopo, si sente la corda che collega la nostra anima a quelle mura assottigliarsi per la lontananza; anelare al ricongiungimento, all’attimo in cui il piede varcherà di nuovo la soglia al termine della giornata.
Così come quando si lascia la propria città, e le strade aliene ricordano quelle percorse nella giovinezza, un angolo di palazzo sembra sottintendere uno scorcio che appartiene ad una topografia più conosciuta e più lontana. Si rimpiangono le strade denigrate, le piazze vituperate e ogni singolo sasso di quel selciato lì, che risplende nel tempo, più addolcito dal tempo e dalla nostalgia.
Così come quando ci si distacca dalla propria isola, e le campagne altrui profumano diverso, il tramonto ha sfumature che non riconosciamo; ci troviamo a fantasticare di essere riportati indietro nella notte, svegliarci nel buio e riconoscere la nostra terra dall’odore di selvaggio e di forte. E le tradizioni a lungo ignorate bussano alla porta dell’orgoglio e rivendicano la loro esistenza in racconti e aneddoti, accompagnate da lampi degli occhi vaganti nell’orizzonte.
Così come quando si lascia il proprio paese, e si cerca nel conterraneo esule anch’egli una briciola di unità tanto spesso bistrattata, non vista tra le pieghe dell’astio. E si difende a parole e a fatti l’offesa di chi si permette di criticare da fuori senza vivere dal di dentro, seppur noi stessi ci fossimo schifati per primi dei bersagli delle giuste critiche.
Così come quando si lascia il proprio pianeta, e dall’atmosfera un’alba incredibile irradia su nuvole, montagne e mari, e tutto è piccolo. E la Terra è da prendere in una mano, e non si capisce perché un gioiello verdazzurro così debba essere diviso sulla superficie, è così bello. Lo vorresti proteggere, e pensi che se tutti potessero vederlo così, con il proprio orticello ridimensionato in scala planetaria, si renderebbero conto che è possibile cambiare.
E’ possibile amare il pianeta, come la propria nazione ma anche le altre che lo compongono, la propria regione ma anche le altre che compongono la nazione, la propria città ma anche le altre che la circondano, la propria casa ma anche le altre attorno.
E’ solo un punto di vista, ma è sufficiente guardare. La prospettiva rimette tutto al giusto posto.
E visto da quassù, nello spazio, si puo’ appartenere a tutto il mondo. La casa è il mondo, saltiamo i passaggi e completiamo l’equazione.
Ora ritorno.