Era un piccolo rito quotidiano fra Giacomino e il suo papà. Lui gli diceva che era tardi e domani doveva andare a scuola, Giacomino obiettava che era ancora presto, l’altro dibatteva che doveva ancora lavarsi i denti, ma che se avesse fatto in fretta gli avrebbe raccontato una favola. E il piccolo allora faceva in un lampo, denti orecchie pigiama coperte e chiamava il papà a squarciagola perché quelle favole erano le migliori, le più belle di tutte, mica come quelle un tanto al chilo che si trovavano nei libri di quei barbosi dei Grimm o di quel pedante di Perrault. Erano favole fresche, appena colte, mai raccontate prima, che si inventava il suo papà appositamente per lui; le raccontava bene, con tutte le vocine per ogni personaggio, cavernosa per l’orco, petulante per gli gnomi, squittente per i bambini e via dicendo. Insomma, un servizio da raconteur di lusso.

Anche quella sera quindi Giacomino fece finta di fare capricci per andare a letto per poi infilarsi a tempo record il pigiama e lanciarsi sotto le coperte. Il papà arrivò, si sedette nella seggiola a fianco al letto, aprì la bocca e

Nulla.

Non aveva nuove storie. Si scusò tanto col bimbo, gli raccontò nuovamente una di quelle vecchie, la sua preferita, quella della Principessa Marrone e il cucchiaio di peltro; ma non era fresca. Giacomino si addormentò pensieroso.

Così accadde anche il giorno dopo, e quello successivo, e l’altro ancora. Non andava affatto bene, proprio per niente.

Fu così che un giorno, durante la scuola, capitò che Giacomino stesse parlando con i suoi compagni quando uno di loro si lamentò che il suo papà non gli raccontasse più storie nuove.

Anche il mio, disse lui. E anche il mio, fece eco un amico. E ben presto si resero conto che tutti loro erano nella medesima situazione: non c’erano più storie nuove da raccontare. Era successo qualcosa che aveva bloccato la fantasia di tutti i loro papà; e se aveva colpito tutti, molto probabilmente era la stessa causa.

Fu così che Giacomino, Chicco, Nina e Bonnie decisero di scoprire il perché e porre rimedio al fattaccio. Ma da dove potevano iniziare? Si riunirono quindi nella cantina del nonno di Chicco, dove teneva la batteria e gli strumenti musicali perché diceva lui che il gruppo si era solo presa una pausa ma prima o poi avrebbero ricominciato a suonare ma ormai erano trentuno anni che erano in pausa, e discussero su quale fosse il miglior modo di affrontare la questione.

Nina fece notare che il suo papà aveva smesso di raccontare storie il venerdì precedente, e anche gli altri bimbi furono concordi che la data coincidesse. Anche se Bonnie aveva sentito una sua amica che abitava fuori città la sera dopo e sembrava che il suo papà invece le avesse raccontato una favola, e Chicco aveva un cugino che stava ancora più lontano il quale aveva avuto favole sino a domenica. Quindi un rimasuglio di storia era arrivato lì; probabilmente le storie viaggiavano lentamente, ed era una che si era messa in cammino il giorno prima che aveva raggiunto il paese a fianco con un po’ di ritardo e la città distante due giorni dopo. Era quindi possibile che il luogo di provenienza delle storie fosse vicino a loro, ma dovevano scoprire dove.

Nina si ricordò di una compagna cui era molto affezionata che si era trasferita nella provincia a fianco e che poteva dare un ulteriore tempistica per la fine delle storie: triangolando (avevano appena fatto gli angoli in matematica) i tempi di propagazione delle fiabe papesche avrebbero potuto avere un’idea di dove cominciare a cercare.

Dopo alcune ore di telefonata durante la quale Nina e Giorgia si misero in pari su tutto quello che gli era successo nel frattempo, saltò fuori anche l’informazione necessaria all’investigazione; dall’amica erano arrivate favole sino a lunedì. I nostri quattro presero quindi una mappa della regione, segnarono con una X bella grossa le posizioni di amici e cugini, e con un po’ di calcoli empirici (risultò infatti che le storie si muovessero ad una velocità variabile tra una corsetta leggera e un piccolo trotto) tracciarono una posizione approssimativa del luogo di origine, che risultava nelle colline proprio alle spalle della loro città.

Si misero d’accordo allora per fare opera di convincimento con i loro genitori per organizzare un pic-nic il fine settimana che veniva, casualmente proprio nelle campagne vicino al luogo individuato nella mappa. Solo Giacomino non riuscì, perché i suoi genitori lavoravano proprio quel pomeriggio, ma dato che erano molto affiatati tra compagni non fu difficile ottenere di poter andare con gli amici sotto l’occhio vigile dei loro genitori.

Non sapendo a cosa sarebbero andati incontro, si organizzarono a modo loro; chi portò i binocoli, chi un temperino da tasca, chi dieci metri di corda o martello e chiodi; gli zainetti erano capienti e consentivano di celare il contenuto sospetto agli occhi vigili di mamme e papà.

Dopo aver mangiato, i bimbi furono liberi di giocare mentre i grandi chiacchieravano sul prato sorseggiando caffè; fu allora che cominciarono seriamente la ricerca. Ma cosa guardare? Procedettero controllando se ci fossero grotte, spelonche, strane formazioni rocciose, fori negli alberi o forsanche funghi con la porticina sotto; esplorarono metodicamente ogni metro della zona fino a che, ormai esaurita la voglia, non si sdraiarono sfiniti sul prato con il naso all’insù a guardare le nuvole.

Fu allora che Giacomino si accorse di una cosa in cielo: un cerchio aveva un colore di azzurro un po’ diverso da tutto il resto. Anche gli altri bimbi lo vedevano; si posizionarono a diverse angolazioni e distanze e sembrava che fosse a pochi metri di altezza, un disco piatto, tondo e orizzontale. Provarono a lanciarci dei sassi; quelli sparirono dentro senza cadere giù da nessuna parte. Sembrava un buco, ma nel cielo.

Chicco prese il suo martello e lo legò alla corda di Bonnie; lo fece roteare quindi sulla testa, non dopo aver cercato di legarsi prima e di sbeccare la testa di Nina poi, e diresse il lancio all’interno del buco. Il martello sparì dentro e si incastrò da qualche parte; anche si appendevano tutti e quattro non riuscivano a farlo venire giù.

Io vado a vedere, disse Giacomino. Era abbastanza bravo nell’arrampicata con la corda; a scuola lo canzonavano chiamandolo scimmia da quanto era veloce a salire, e lui faceva notare che le scimmie lanciano la loro cacca a chi le infastidisce, e questo metteva subito fine alla discussione. Acchiappò la corda e in quattro avvitamenti era arrivato su; quello che da sotto sembrava solo un buco era in realtà l’apertura nel pavimento di una grandissima caverna dal soffitto azzurro,  con il pavimento di roccia interrotto solo dal foro dove si vedevano i prati sottostanti, sospesa sopra i monti. Entrò titubante, vide che il martello era rimasto incastrato fra due rocce, e anche sforzandosi di scrutare l’orizzonte non riusciva a capire dove iniziasse e dove finisse tutto.

Era intento ad osservare estasiato dalla scoperta, quando si accorse delle voci che lo chiamavano da sotto. Erano i suoi amici, che vedendolo sparire lassù si stavano preoccupando perché non avevano informazioni da qualche minuto e temevano fosse stato divorato da qualche mostro con molto appetito. Giacomino si affacciò dal buco e li rassicurò della tranquillità del posto; i tre rimanenti si organizzarono allora per salire, uno alla volta, e l’ultima fu Nina che essendo esile venne issata su a forza di braccia dagli altri tre. Appena furono tutti e quattro sopra si resero conto dell’immensità della loro scoperta: era tutto un altro mondo al di sopra del loro…e dovevano scoprire se c’entrasse qualcosa con le storie prima del tramonto.

Nina, guardando con il binocolo, fece notare che in fondo a sinistra si vedeva qualcosa che poteva sembrare una costruzione. Con coraggio e decisione si incamminarono verso quel punto, determinati a scoprire se vi fosse un qualche collegamento fra quel luogo e il termine della fantasia fiabesca dei loro papà.

Mano a mano che si avvicinavano al punto designato cominciavano a riconoscere maggiori dettagli. Sembrava una costruzione; poi era una costruzione di pietre a forma di cubo; poi gli spuntava una protuberanza davanti; infine la protuberanza era un rubinetto enorme, tanto che nella canna poteva starci la testa intera di Giacomino. Sopra il rubinetto, nel muro, era attaccata una targa di metallo un po’ arrugginita con dei caratteri che non riuscivano a leggere. Bonnie, che aveva visto molti documentari, disse che sembrava la scrittura utilizzata dagli inuit, o forse dai coreani, non ne era certissima. L’unica cosa sulla quale erano tutti e quattro certi era che il rubinetto sembrasse senza ombra di dubbio chiuso.

Per quanto si sforzassero, bassi com’erano, non riuscivano ad arrivare bene a girare la leva che apriva il rubinettone. Rischiavano di fare tardi: il sole stava per calare, e i grandi li avrebbero cominciati a cercare.

Chicco disse allora a Giacomino di salirgli sulle spalle; in quel modo riuscivano a raggiungere meglio la leva. Giacomino la abbracciò con tutte le sue forze mentre gli altri tre, acchiappatolo per i piedi, tiravano a più non posso. Dai e dai il rubinetto si smosse, dapprima poco, fino a che con un untimo strattone si spostò tutto d’un botto e cedette, facendo volare Giacomino steso lungo per terra.

Ma dal rubinetto non usciva nulla, o almeno così sembrò ai nostri quattro piccoli esploratori. Tuttavia mentre guardavano sconsolati la cannella immota, successe una cosa stranissima.

Un portone in mezzo ad un lago, disse Chicco.

Il cigno verde con i cinque anelli di rame, fece eco Nina.

La maschera da Rana dell’imperatore della palude, rispose Bonnie.

Lo strano caso dell’uovo di pizza, si ritrovò a dire Giacomino.

Si guardarono esterrefatti l’un l’altro e capirono che le storie non si potevano vedere, ma in qualche modo stavano uscendo da quel buffo enorme rubinetto e li stavano investendo proprio in quell’istante. Si rizzarono in piedi come quattro molle e partirono a tutta velocità verso l’uscita, mentre si gridavano le idee fenomenali che gli venivano in testa.

Prima che avessero raggiunto il martello con la corda erano nati imperi, regine e re avevano sperperato fortune, avventurieri avevano esplorato regni misteriosi, nani ed elfi avevano disputato partite di rugby, gli gnomi avevano scavato fino al centro della terra per trovarvi la tartaruga saggia, gli alieni erano atterrati in città per comprare patatine e una nave guidata da pinguini era attraccata a Copenaghen. Scesero giù a rotta di collo, per ultimo Giacomino che staccò il martello e si lanciò giù a volo d’angelo atterrando di faccia sull’erba morbida, senza tuttavia farsi nulla; e poi via dalla collina verso dove avevano il campo i genitori per essere lì prima che cominciassero a chiamarli.

Aiutarono a raccogliere tutto e metterlo nelle automobili, mentre ancora in testa gli ronzavano mille idee diverse e funamboliche da quanto intensamente erano rimasti esposti al flusso di storie che era fuoriuscito dal rubinetto lassù. Si passarono dei fogli e matite che la mamma di Bonnie portava sempre con sé e buttarono giù tutto quello che gli era rimasto in testa; solo così ciascuno di loro ne riempì cinque. Rintontiti e increduli tornarono alle loro case, e Giacomino trovò i suoi che lo aspettavano felici. Stanco morto si addormentò abbracciato alla mamma sul divano, ancora con i calzoni sporchi di erba.

Era domenica mattina, e la mamma lo svegliò con un soave profumo di frittelle. Tutto è più bello quando ci sono le frittelle a colazione; l’avventura del giorno prima cominciava a svanire nella memoria, e il bimbo non era poi così sicuro che fosse successo tutto davvero. Frugò allora nella tasca della giacca e lì trovò i fogli con gli appunti presi durante il viaggio di ritorno: c’erano ancora! E sembravano storie fantastiche! Sperava di non averle consumate tutte assieme ai suoi tre amici: l’avrebbe scoperto solo a sera, e aspettava con un misto di trepidazione e timore il momento della favola serale.

Fu così che tramontò il sole, e Giacomino si fece trovare già sotto le coperte, con solo il naso che spuntava fuori. Il papà si stupì di non dover fare la solita manfrina per convincerlo a prepararsi per la notte.

Prese la seggiola, si sedette a fianco al letto, e disse: oggi ti racconterò la favola del cane verde e la pallina da tennis d’oro.

E i sogni di Giacomino e di tutti i bambini furono i migliori che avessero fatto da un bel po’.

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